Puoi vivere con molte persone, ma ce n'è una sola di cui non puoi fare a meno...il tuo principe...
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RicordateVi Care Prinicipesse, che per trovare il nostro principe...ahimè dovremo baciare tanti rospi...
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Il Principe Ranocchio (in tedesco Der Froschkönig) è una famosa fiaba tradizionale europea; la versione più celebre è quella scritta dai fratelli Grimm.
Il Principe Ranocchio
Nei tempi antichi, quando
desiderare serviva ancora a qualcosa, c'era un re, le cui figlie erano tutte
belle, ma la più giovane era così bella che perfino il sole, che pure ha visto
tante cose, sempre si meravigliava, quando le brillava in volto. Vicino al
castello del re c'era un gran bosco tenebroso e nel bosco, sotto un vecchio
tiglio, c'era una fontana. Nelle ore più calde del giorno, la principessina
andava nel bosco e sedeva sul ciglio della fresca sorgente. E quando si
annoiava, prendeva una palla d'oro, la buttava in alto e la ripigliava; e
questo era il suo gioco preferito.
Ora avvenne un giorno che la
palla d'oro della principessa non ricadde nella manina ch'essa tendeva in alto,
ma cadde a terra e rotolò proprio nell'acqua. La principessa la seguì con lo
sguardo, ma la palla sparì, e la sorgente era profonda, profonda a perdita
d'occhio. Allora la principessa cominciò a piangere, e pianse sempre più forte,
e non si poteva proprio consolare. E mentre così piangeva, qualcuno le gridò:
"Che hai, principessa? Tu piangi da far pietà ai sassi." Lei si
guardò intorno, per vedere donde venisse la voce, e vide un ranocchio, che
sporgeva dall'acqua la grossa testa deforme. "Ah, sei tu, vecchio
ranocchio!" disse, "piango per la mia palla d'oro, che m'è caduta
nella fonte." - "Chétati e non piangere," rispose il ranocchio,
"ci penso io; ma che cosa mi darai, se ti ripesco il tuo palla?" -
"Quello che vuoi, caro ranocchio," disse la principessa, "i miei
vestiti, le mie perle e i miei gioielli, magari la mia corona d'oro." Il
ranocchio rispose: "Le tue vesti, le perle e i gioielli e la tua corona
d'oro io non li voglio: ma se mi vorrai bene, se potrò essere il tuo amico e
compagno di giochi, seder con te alla tua tavolina, mangiare dal tuo piattino
d'oro, bere dal tuo bicchierino, dormire nel tuo lettino: se mi prometti
questo; mi tufferò e ti riporterò la palla d'oro." - "Ah sì,"
disse la principessa, "ti prometto tutto quel che vuoi, purché mi riporti
la palla." Ma pensava: Cosa va blaterando questo stupido ranocchio, che
sta nell'acqua a gracidare coi suoi simili, e non può essere il compagno di una
creatura umana!
Ottenuta la promessa, il
ranocchio mise la testa sott'acqua, si tuffò e poco dopo tornò remigando alla
superficie; aveva in bocca la palla e la buttò sull'erba. La principessa, piena
di gioia al vedere il suo bel giocattolo, lo prese e corse via. "Aspetta,
aspetta!" gridò il ranocchio, "prendimi con te, io non posso correre
come fai tu." Ma a che gli giovò gracidare con quanta fiato aveva in gola!
La principessa non l'ascoltò, corse a casa e ben presto aveva dimenticata la
povera bestia, che dovette rituffarsi nella sua fonte.
Il giorno dopo, quando si fu
seduta a tavola col re e tutta la corte, mentre mangiava dal suo piattino d'oro
- plitsch platsch, plitsch platsch - qualcosa salì balzelloni la scala di
marmo, e quando fu in cima bussò alla porta e gridò: "Figlia di re, piccina,
aprimi!" La principessa corse a vedere chi c'era fuori, ma quando aprì si
vide davanti il ranocchio. Allora sbatacchiò precipitosamente la porta, e
sedette di nuovo a tavola, piena di paura. Il re si accorse che le batteva
forte il cuore, e disse: "Di che cosa hai paura, bimba mia? Davanti alla
porta c'è forse un gigante che vuol rapirti?" - "Ah no," disse
lei, "non è un gigante, ma un brutto ranocchio." - "Che cosa
vuole da te?" - "Ah, babbo mio, ieri, mentre giocavo nel bosco vicino
alla fonte, la mia palla d'oro cadde nell'acqua. E perché piangevo tanto, il
ranocchio me l'ha ripescata. E perché ad ogni costo lo volle, gli promisi che
sarebbe diventato il mio compagno; ma non avrei mai pensato che potesse uscire
da quell'acqua. Adesso è fuori e vuol venire da me." Intanto si udì
bussare per la seconda volta e gridare:
"Figlia di re, piccina, aprimi! Non sai più quel che ieri m'hai
detto vicino alla fresca fonte? Figlia di re, piccina, aprimi!"
Allora il re disse: "Quel
che hai promesso, devi mantenerlo; va' dunque, e apri." Lei andò e aprì la
porta; il ranocchio entrò e, sempre dietro a lei, saltellò fino alla sua sedia.
Lì si fermò e gridò: "Solleva mi fino a te." La principessa esitò, ma
il re le ordinò di farlo. Appena fu sulla sedia, il ranocchio volle salire sul
tavolo e quando fu sul tavolo disse: "Adesso avvicinami il tuo piattino
d'oro, perché mangiamo insieme." La principessa obbedì, ma si vedeva
benissimo che lo faceva controvoglia. Il ranocchio mangiò con appetito, ma a
lei quasi ogni boccone rimaneva in gola. Infine egli disse: "Ho mangiato a
sazietà e sono stanco. Adesso portami nella tua cameretta e metti in ordine il
tuo lettino di seta: andremo a dormire." La principessa si mise a
piangere; aveva paura del freddo ranocchio, che non osava toccare e che ora
doveva dormire nel suo bel lettino pulito. Ma il re andò in collera e disse:
"Non devi disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno."
Allora lei prese la bestia con due dita, la portò di sopra e la mise in un angolo.
Ma quando fu a letto, il ranocchio venne saltelloni e disse: "Sono stanco,
voglio dormir bene come te: tirami su, o lo dico a tuo padre." Allora la
principessa andò in collera, lo prese e lo gettò con tutte le sue forze contro
la parete: "Adesso starai zitto, brutto ranocchio!"
Ma quando cadde a terra, non era
più un ranocchio: era un principe dai begli occhi ridenti. Per volere del
padre, egli era il suo caro compagno e sposo. Le raccontò che era stato
stregato da una cattiva maga e nessuno, all'infuori di lei, avrebbe potuto
liberarlo. Il giorno dopo sarebbero andati insieme nel suo regno. Poi si
addormentarono. La mattina dopo, quando il sole li svegliò, arrivò una carrozza
con otto cavalli bianchi, che avevano pennacchi bianchi sul capo e i finimenti
d'oro; e dietro c'era il servo del giovane re, il fedele Enrico. Enrico si era
così afflitto, quando il suo padrone era stato trasformato in ranocchio, che si
era fatto mettere tre cerchi di ferro intorno al cuore, perché non gli
scoppiasse dall'angoscia. La carrozza doveva portare il giovane re nel suo
regno; il fedele Enrico vi fece entrare i due giovani, salì dietro ed era pieno
di gioia per la liberazione.
Quando ebbero fatto un tratto di
strada, il principe udì uno schianto, come se dietro a lui qualcosa si fosse
rotto. Allora si volse e gridò:
"Enrico, qui va in pezzi la
carrozza!" "No, padrone, non è
la carrozza, Bensì un cerchio del mio cuore, Ch'era immerso in gran dolore, Quando
dentro alla fontana Tramutato foste in
rana."
Per due volte ancora si udì uno
schianto durante il viaggio; e ogni volta il principe pensò che la carrozza
andasse in pezzi; e invece erano soltanto i cerchi, che saltavano via dal cuore
del fedele Enrico, perché il suo padrone era libero e felice.
Scatole decorate con metodo découpage by Matisse, Principe Ranocchio realizzato a mano da Marcella Libra.